Longhi al giovedì – Cosa non si fa

Cosa non si fa. Si può intitolare così questo editoriale, che prende spunto da ciò che è accaduto in Champions per le italiane ma senza soffermarsi troppo sui risultati. Il Napoli ha pareggiato con il Salisburgo, una vittoria avrebbe consegnato agli azzurri già il pass per gli ottavi, ma in teoria la strada sarebbe in discesa visto e considerato che basterebbe battere il Genk all’ultima giornata, a Fuorigrotta, per brindare al passaggio del turno. Il punto non è il pari ottenuto contro gli austriaci, ma ciò che si sta facendo in campionato, dove il Napoli può già dire addio ai sogni scudetto, ed era stato proprio Ancelotti a dichiarare, a chiare lettere, che la sua squadra era competitiva per lo scudetto. Contro la Roma si è toccato il punto più basso, e ci si aspettava di vedere una squadra rabbiosa e con il sangue agli occhi dopo i fattacci della gara con l’Atalanta. Proprio l’indecorosa prestazione in terra capitolina, ha indotto la società ad optare per il ritiro, che solitamente serve per ritrovare fiducia, certezze e slancio in un momento delicato. La parola ritiro non è sinonimo di autoflagellazione, di atroci punizioni corporali o di incubi notturni. Ma dopo la partita con il Salisburgo, c’è stato l’ammutinamento dei giocatori che hanno disertato il ritiro, un atto di disobbedienza che qualcuno vuole far passare come figlio di altri problemi, sarebbe parimenti inaccettabile. Parliamo di giocatori che guadagnano in un mese le cifre che un impiegato si può soltanto sognare in tutta la sua vita, vengono lautamente pagati per un lavoro che stanno svolgendo male, molto male, dal momento che l’obiettivo più importante è ormai sfumato, e che fanno? Si ammutinano, qui davvero il mondo sta andando al contrario. E’ un episodio gravissimo che può segnare anche un precedente, senza voler affibbiare etichette ai giocatori bollandoli come viziati o snobisti, sicuramente si può dire che il loro atteggiamento irrispettoso causa una frattura ulteriore, permea di tensione l’ambiente e insudicia l’immagine del club per cui prestano i propri servigi. Bisognerebbe scendere in campo sempre con la terza maglia, perché quell’azzurro non può essere calpestato così. Ma nel martedì di Champions, non si è verificato solo quest’episodio perché c’era un’altra italiana impegnata in una partita importante, l’Inter. La squadra nerazzurra sembrava dettare legge a Dortmund, tant’è che è arrivata all’intervallo in vantaggio di due gol. Solo che nella ripresa c’è stato lo smottamento, da 0-2 a 3-2, un crollo che ha permesso ai tedeschi di aggiudicarsi la sfida mandando Conte su tutte le furie. Il tecnico salentino si è presentato in sala stampa visibilmente e comprensibilmente amareggiato, ma sono state le sue dichiarazioni a suscitare perplessità perché non conformi al profilo di un uomo vincente come lo è Conte. Il quale ha addebitato tutte le responsabilità alla dirigenza, rea di non esporsi e di non avergli messo a disposizione una rosa numericamente adeguata per sostenere più competizioni. Eh no, caro Conte, così è troppo facile, in questi casi a metterci la faccia deve essere l’allenatore che, con onestà intellettuale, ammette i propri errori senza attribuirli a fattori esterni. Sono i perdenti a cercare sempre una scusa, chi ha la mentalità vincente non si mette a frignare, magari si sfoga, perché è umano, come lo è esternare in termini coloriti il proprio nervosismo, ma un generale che addebita le cause di una sconfitta alla scarsità dei mezzi che ha a disposizione, non è destinato a passare alla storia. Il “cosa non si fa” di questo editoriale non riguarda solo la presa di posizione dei giocatori del Napoli e le dichiarazioni di Conte, bensì anche le altre due italiane di Champions, l’Atalanta e la Juventus. Gli orobici, finalmente, hanno ottenuto il primo punto, ma l’hanno fatto alla quarta giornata, troppo tardi, ciò che non andava fatto era mostrare l’inadeguatezza delle prime tre giornate. La dignità è stata salvata, ma ci si è ricordati di averla quando tutto era già compromesso, lode alla Dea per essersi guadagnata con merito il più grande palcoscenico europeo, solo che la competizione andava affrontata con uno spirito diverso. La Juve non ruberà l’occhio, eppure riesce sempre a prevalere. Ormai sono diverse le partite in cui l’ha spuntata al fotofinish, è una nota di merito perché riesce a farlo solo chi ci mette caparbietà e volontà di crederci senza mollare mai. Però, nello stesso tempo, è anche un rischio perché gli ultimi minuti di una gara possono essere anche stregati. Cosa non si fa? Aspettare il recupero per piazzare il colpo vincente, non sempre può andare bene.

A cura di Maurizio Longhi