Longhi al giovedì – Chi ammette la sconfitta è proiettato alla vittoria

“La lite Biglia-Kessié? Una mia sconfitta”, con queste parole Gennaro Gattuso, allenatore del Milan, ha commentato il censurabile scontro tra suoi due giocatori che per poco non arrivavano ad azzuffarsi. Una scena molto brutta e diseducativa, ma sono da apprezzare le parole del tecnico calabrese che non ha usato giri di parole assumendosi la responsabilità di tutto, e non è da tutti (perdonate il gioco di parole). Bisogna avere grande onestà intellettuale per ammettere una sconfitta, perché spesso si ricorre a giustificazioni e ad alibi per mitigarne gli effetti, spesso delegando le cause a fattori esterni. Avrebbe potuto farlo anche Gattuso, scagliandosi contro i suoi giocatori, parlando di provvedimenti da adottare e tuonando sul fatto che una scena simile non si sarebbe dovuta ripetere più. Così avrebbe tutelato la sua immagine di gestore di un gruppo, invece, ha optato per la scelta più dolorosa per l’amor proprio, ponendo se stesso al centro di un caso poco edificante, sacrificandosi come faceva in campo. Ringhio era abituato a lasciare la scena, le copertine e i riflettori agli altri, lui preferiva mettersi al servizio dei compagni e contribuire da par suo ai successi, che sarebbero stati più difficili da conquistare senza uno come lui. Ma per arrivare ai successi, bisogna essere educati alla sconfitta, una cultura che prevede prima di qualsiasi altra cosa, l’onestà intellettuale di ammettere i propri errori. Ed è proprio quello che ha fatto Gattuso nel post-gara del derby perso contro i cugini dell’Inter, assumersi le sue responsabilità, anche in misura maggiore rispetto a quelle reali, ma sempre meglio di negarle e attribuirle ad altri.
Il perdente quello fa, trova sempre una scusa e una giustificazione, chi rifugge da questa mentalità è destinato a vincere. Gattuso sa come si vince, lo testimonia la sua carriera da calciatore, poi ci sono i vincitori nati e quelli casuali. I primi sanno anche perdere, i secondi no, la differenza sta tutta qui. Solo che chi accetta la sconfitta, pone le basi per future vittorie, chi non la accetta, è condannato alla frustrazione e al fallimento. Ci vuole sempre una misura nelle cose, e adesso sarebbe esagerato santificare Gattuso, ma è giusto riconoscergli l’onestà intellettuale di essersi presentato ai microfoni della stampa, in un momento di alta tensione emotiva, assumendosi la responsabilità dell’accaduto. Ci sono dei valori su cui non si deroga, e che vengono prima dei risultati, i quali devono essere lo specchio proprio di un bagaglio valoriale da custodire vita natural durante. Quello di Gattuso è stato un insegnamento, la sconfitta non va negata, bensì ammessa, un atto che richiede una buona dose di umiltà. Si fa un abuso continuo e improprio di questa parola, umiltà, una patente che si attribuisce e ci si attribuisce (succede anche questo) con troppa facilità e superficialità. La prima regola di una persona umile è ammettere le proprie responsabilità, come ha fatto Gattuso che si è addossato sia quella della sconfitta sul campo e sia quella relativa a suoi due giocatori. Non è che l’allenatore rossonero abbia fatto chissà cosa di straordinario, ma in quanti lo avrebbero fatto? Tutti possiamo porci questa domanda: siamo pronti ad ammettere le nostre sconfitte senza trovare scuse?

A cura di Maurizio Longhi