“La lite Biglia-Kessié? Una mia sconfitta”, con queste parole Gennaro Gattuso, allenatore del Milan, ha commentato il censurabile scontro tra suoi due giocatori che per poco non arrivavano ad azzuffarsi. Una scena molto brutta e diseducativa, ma sono da apprezzare le parole del tecnico calabrese che non ha usato giri di parole assumendosi la responsabilità di tutto, e non è da tutti (perdonate il gioco di parole). Bisogna avere grande onestà intellettuale per ammettere una sconfitta, perché spesso si ricorre a giustificazioni e ad alibi per mitigarne gli effetti, spesso delegando le cause a fattori esterni. Avrebbe potuto farlo anche Gattuso, scagliandosi contro i suoi giocatori, parlando di provvedimenti da adottare e tuonando sul fatto che una scena simile non si sarebbe dovuta ripetere più. Così avrebbe tutelato la sua immagine di gestore di un gruppo, invece, ha optato per la scelta più dolorosa per l’amor proprio, ponendo se stesso al centro di un caso poco edificante, sacrificandosi come faceva in campo. Ringhio era abituato a lasciare la scena, le copertine e i riflettori agli altri, lui preferiva mettersi al servizio dei compagni e contribuire da par suo ai successi, che sarebbero stati più difficili da conquistare senza uno come lui. Ma per arrivare ai successi, bisogna essere educati alla sconfitta, una cultura che prevede prima di qualsiasi altra cosa, l’onestà intellettuale di ammettere i propri errori. Ed è proprio quello che ha fatto Gattuso nel post-gara del derby perso contro i cugini dell’Inter, assumersi le sue responsabilità, anche in misura maggiore rispetto a quelle reali, ma sempre meglio di negarle e attribuirle ad altri.
A cura di Maurizio Longhi