ESCLUSIVA – Mazzocchi: “No alla ripresa dei campionati”

Marco Mazzocchi è intervenuto in diretta Instagram col direttore Attilio Malena. Ecco le parole del giornalista della Rai.

Sulle riaperture: “Un segnale di speranza deve essere dato, ma sono per la prudenza, o più precisamente per la speranza nella prudenza. La fortuna ha voluto che il sud fosse meno colpito rispetto ad alcune parti del nord, ma è fortuna pura. Non sottovaluterei ancora la potenza devastante e devastatrice di questo virus. Non approfitterei troppo della fortuna. Cercherei di prendere tutto con le molle. Siamo alla vigilia della stagione estiva che per il sud è importantissima. Sbagliare adesso potrebbe significare pagare conseguenze pesanti sia di salute sia economiche anche ad agosto. Questa accelerazione la eviterei per avere una situazione migliore dopo”.

Sulla ripresa: “Penso di essere l’unico giornalista sportivo ad essersi espresso in modo chiaro contro la ripresa. Ero l’unico a gennaio/febbraio a dire su Twitter, che è il social con maggior esposizione, che le Olimpiadi erano a rischio, ma presi insulti e mi diedero dello iettatore. Successivamente non solo le Olimpiadi, ma anche Europei, Motogp, Formula 1 e campionati sono stati fermati. Per quanto sia importante la Serie A, che verrebbe interessata comunque meno dei campionati minori dove si rischiano più fallimenti, mi sono stufato della retorica che riprendendo la gente potrebbe distrarsi per un’ora e mezza a settimana. Le persone per distrarsi hanno bisogno di stare con gli amici, andare al ristorante, al bar. La prima distrazione dell’italiano non è il calcio, ma gli affetti, l’amicizia, la partita a carte dagli amici, la bevuta di vino. Inoltre la partita di calcio non si vedrebbe nemmeno allo stadio, ma in TV. Quindi sono contrario alla ripresa. Difficilmente esisterà un protocollo di sicurezza capace di garantire al 1000% che nessun giocatore o addetto allo svolgimento regolare delle partite rischi di essere colpito. Il virus ci sarà per altri mesi, quindi il rischio rimarrà per mesi. Il calcio è uno sport di contatto. Attorno al calcio c’è un movimento di denaro non indifferente, ma sono tante le aziende in difficoltà anche negli altri settori. Il calcio rappresenta lo 0,5% del PIL, sono tanti soldi, ma ad esempio il turismo è i 15%. In questo momento salvaguarderei il turismo, il settore terziario, i servizi. I giocatori non si allenano letteralmente da due mesi, perché ora non è che si stanno allenando pienamente. Stanno male come stiamo noi, magari staranno facendo un po’ di attività, ma con la testa hanno mollato. Non è che tornano dopo 25 giorni di vacanza in Polinesia o alle Maldive in cui si sono ricaricati. Non gli va di continuare, giocherebbero in piena estate con allenamenti fatti così così e con ripercussioni sui muscoli. Inoltre avranno anche la preoccupazione di ritrattare il contratto, di rinnovare il prestito, di vedere dove andare a giocare se gli scade il contratto. Sarebbe bello se la decisione arrivasse da loro, ma aspettano il governo, che prenderebbe pesci in faccia per una scelta che in questo caso sarebbe giusta. Lo dico da amico sia del presidente della Lega Calcio sia del presidente della FIGC, non ho interesse a remargli contro, non sono un loro oppositore. Poi sono un giornalista sportivo, avevo progetti di lavoro che dovrò spostare. La ripresa del campionato non è una priorità. Inoltre c’è il nuovo campionato che incombe, mi concentrerei sul prossimo per settare il calendario anche sugli impegni post-season delle nazionali nei prossimi due anni”.

Sui verdetti: “Non si assegni lo scudetto. Abbiamo la fortuna che in testa c’è una squadra a cui non importa se togli lo scudetto, ne ha tanti, se ne è anche aggiunti altri due. Ci toglieremmo anche il pensiero di Calciopoli se la Juventus rinunciasse alla corsa scudetto, sarebbe un bel gesto. Non ci sono i tempi per riprendere. La data del 18 maggio ha posto una pietra tombale sula ripresa. Se decidi che dal 18 maggio i giocatori possono tornare ad allenarsi in gruppo, ma non con partitelle, con gruppetti di 6 giocatori e distanza sociale, vuol dire che i primi allenamenti con partitelle li faranno ad inizio giugno. A quel punto il campionato riprenderebbe almeno a metà giugno e bisognerebbe chiudere entro fine luglio. In un mese e mezzo le squadre dovrebbero giocare 12 partite, l’Inter 13. Che campionato è? Non sarebbe regolare. Alcune squadre non se lo possono permettere. Ci saranno partite in cui la piccola contro la Juve, l’Inter, la Lazio, il Napoli o altre grandi metterà le seconde linee e tutti diranno che la piccola ha regalato i 3 punti”.

Sulla delusione di questa stagione: “Il Napoli. Non pensavo che Ancelotti avrebbe fatto questo percorso. Quando il Napoli iniziò a crollare ad ottobre/novembre ero fuori, per 40 giorni non ho avuto informazioni, non avevo il telefono, quindi non avevo idea della situazione. Quando sono tornato e ho visto la classifica e i risultati del Napoli pensavo che avessero girato la classifica, era impossibile che il Napoli fosse nella parte destra. Posso capire che Ancelotti possa avere difficoltà al primo anno, ma non mi aspettavo che ne avrebbe avute nella seconda annata”.

Sui giocatori simbolo degli anni ’80, ’90 e ’00: “Per gli anni ’80 Maradona. Per gli anni ’90 ce ne sono tanti, rimanendo in Italia penso Baggio. Nel 2000 sicuramente i due mostri, Messi e Cristiano Ronaldo, e in Italia dico Totti”.

Sulla scomparsa di Franco Lauro“Sono contrario a parlare di queste cose, ognuno ha i suoi ricordi. Con Franco discutevamo tanto. Sono stato suo capo, non fu facile, ma mi sono divertito. Era una persona perbene ed educata, sono un capo esigente e rompiscatole, lui a volte mi faceva arrabbiare ma finiva tutto con una risata, anche perché è un lavoro bello, non vale la pena di arrabbiarsi. Ci ho lavorato 30 anni, abbiamo fatto un percorso parallelo e alcuni progetti insieme. Non mi piace parlarne, sono cose personali, preferisco tenermele per me. Alcuni dicono cose tanto per dirle, altri perché è giusto che le dicano ma magari non le pensano”.

Sulla crisi dell’editoria: “I dati di vendita dei giornali sono sotto gli occhi di tutti. Questo periodo non aiuta. È anche giusto che gli altri colleghi che si occupano esclusivamente di sport non vedano l’ora che tutto si sblocchi. I colleghi di Sky trasmettono partite del 1948 pur di riempire il canale, ma gli sono vicino in questo, farei lo stesso se non peggio. Il futuro non è roseo, ma non da adesso. Sarà un giornalismo fai da te. La mia generazione non ha dato alla professione di giornalista quel senso di veridicità e credibilità che le generazioni precedenti hanno dato, quindi per chi arriverà dopo sarà più complicato. A molti inoltre piace sparare bufale di mercato”.

Sulla comunicazione coi tesserati: “Resta il problema della contrattualizzazione. A livello di calcio professionistico per fare un’intervista a determinati giocatori di determinati club bisogna passare tramite l’advisor che ha i diritti del campionato e del club. Non ci sono esclusive, il calciatore viene lì perché costretto, quindi non si crea empatia, gli unici spunti possono esserci nei dopopartita, quando a caldo allenatori e calciatori sono meno controllabili. In mezzo alla settimana è tutto asettico, difficilmente si esce da questo circolo. Inoltre oggi si racconta il calcio in maniera troppo fredda anche nel modo di rirprrendere. Parlo spesso con Popi Bonnici, che è il responsabile Infront ed è un mio amico. Esiste un format di ripresa, mi chiedo come sia possibile. Il format di ripresa è poi stato traslato in un format di linguaggio, si racconta il calcio sempre allo stesso modo. C’è chi è famoso perché urla, chi per il tè caldo. È tutto freddo, non c’è spontaneità. Ciò si percepisce anche nel rapporto fra intervistatore ed intervistato: non c’è empatia, c’è una distanza incolmabile anche a causa dei social. Se un tesserato vuole dire qualcosa usa i social, dove ha i suoi fan e non ha contradditorio. I giornalisti non riescono a fare un contradditorio vero, quindi i giovani ci rimettono”.

Sul calcio di provincia e la trasmissione “B come sabato”“Si tratta di una trasmissione che ho amato subito da quando mi è stata proposta. Sono state accolte in pieno le mie idee e il loro sviluppo. Una di queste era andare ogni domenica in un campo di provincia e seguire la partita in diretta in maniera ironica, raccontando anche quella provincia. È una cosa che mi manca. In una mia trasmissione questo aspetto tornerà, voglio tornare a raccontare quel calcio lì, che è più divertente e meno filtrato. Proposi di metterci d’accordo con la LND per trasmettere in diretta la partita X, mandare un comico e prima della partita fare la presentazione del luogo, raccontare i posti e i piatti. Abbiamo fatto vedere i veri spogliatoi pre-partita: quelli di adesso sono tutti gelidi, sono tutti muti con le cuffie, in quei campi invece si intervistano giocatori, allenatori e arbitri, si urla. Tornare a parlare di calcio in quel modo è uno miei obiettivi, non so dove ma ci riuscirò”.

Sul punto più alto della sua carriera: “Ce ne sono due. Uno è stato nel 2006, quando la Rai mi diede la responsabilità di essere il presentatore ufficiale dei Mondiali. La decisione della tua azienda di farti diventare il volto dei mondiali è il massimo che si possa ottenere nel mio campo. Ancora oggi c’è gente che associa me ai Mondiali del 2006. Dal punto di vista personale l’esperienza sul K2 è stata la più forte e probante, anche tragica perché uno degli alpinisti non è più tornato. Il Mondiale 2006 è stata la mia più grande soddisfazione: non potevo sbagliare, mi vedevano milioni di persone. Per l’esperienza del K2 invece quando ho qualche difficoltà mi dico: sono riuscito a scalare il K2, possibile che non riesco a fare questo”.

Sul suo futuro: “Tutti pensano di lasciare la propria azienda, perché pensano che magari da altre parti possono fare meglio. Io, però, sono molto legato alla Rai nel bene e nel male. Non sempre l’ho amata, non sempre sono stato amato, ma sto qua dal 1988, sono 32 anni. Difficilmente mi vedo da un’altra parte, difficilmente ad esempio mi vedrei a Mediaset che per come imposta i programmi è lontana dalla mia mentalità. Ci sono state possibilità di andare in altri posti, ma non ho mai preso seriamente in considerazione queste proposte. Inoltre il mio costo per certe aziende non è sostenibile: per lavorare altrove chiedo molto di più, sono fuori mercato”.